Mostrificazione – di Flavio Masi

Mostrificazione

Era il 1969, altro periodo storico, altro millennio.
Il sistema informativo era costituito, prima di tutto, da televisione e radio di stato. In seconda battuta venivano i giornali, più o meno filogovernativi; anche i giornali di partito avevano una certa rilevanza.
Scrive Enrico Deaglio in un suo libro del 2019: «Non c’erano fake news, perché non esistevano news, che non fossero quelle ufficiali, in genere fake

Il 12 dicembre 1969, nella sede di una banca in Piazza Fontana a Milano, esplode una bomba. L’effetto della deflagrazione è, come si dice in questi casi, dirompente.
Un giornalista britannico, Leslie Finer, che due anni prima aveva seguito da vicino le vicende culminate nel colpo di stato militare in Grecia, conierà l’espressione «strategy of tension».
All’epoca, solitamente, si traduceva e quel «strategy of tension» in Italia diventò «strategia della tensione»; fosse capitato più recentemente continueremmo forse a usare l’espressione inglese, mooolto più cool.

Le tesi è che la bomba esplode appunto per allarmare l’opinione pubblica, con lo scopo, se ritenuto necessario, di giustificare una svolta autoritaria.

Il principale, e necessario, effetto collaterale di questo inizio di strategia della tensione saranno i 17 morti dovuti all’esplosione. Altro effetto collaterale, anch’esso mortale, sarà la caduta di un certo Pino Pinelli dalla finestra del quarto piano di una questura.

Non si sa come Giuseppe Pinelli sia potuto cadere da quella finestra; molti, però, ritengono di sapere perché ciò avvenne: Pinelli – oltre che marito e padre – era un militante anarchico.

In quegli anni essere dichiaratamente anarchici esponeva a dei rischi.
Un sempreverde, la “pista anarchica“, andava per la maggiore e, dopo la strage di Piazza Fontana, si suppone che gli inquirenti avessero già le idee chiare: i colpevoli andavano protetti, gli anarchici colpevolizzati.

Il questore di Milano disse ai media che Pienelli si era suicidato, il che dimostrava la sua colpevolezza.

L’esecutore materiale dell’atto terroristico fu però individuato in un altro anarchico, ancora più indigesto di Pinelli.
Pietro Valpreda, così si chiamava, fu sottoposto a oltre 3 anni di carcerazione preventiva e a varie vicissitudini giudiziarie. Fu poi definitivamente assolto nel 1987.

La macchina del fango che investì Valpreda fu memorabile, era lui «La bestia umana che ha fatto i 14 morti (poi diventati 17, N.d.A) di piazza Fontana», «una belva oscena e ripugnante, penetrata fino al midollo dalla lue comunista»; per la stampa di allora, da chi «viene dal giro forsennato del be-bop, del rock; un giro dove gli uomini sono quello che sono e le ragazze pure.» è lecito aspettarsi le peggio cose.

La stampa, del resto, si accodava: la tv di stato, 4 giorni dopo la strage, non esitava a certificare la “colpevolezza” di Pietro Valpreda.
Il “garantismo”, oggi e forse anche allora, si riserva semmai alle persone importanti; i poveri disgraziati, o anche solo i cittadini comuni, possono essere ritenuti colpevoli all’istante.

Pochi anni dopo la strage, in una rivista anarchica, si scrisse che Valpreda era colpevole, colpevole di essere un ballerino, colpevole di non essere un ballerino famoso, di non portare la cravatta, di avere i capelli lunghi ecc.
In quelle parole mi sembra ci sia del vero.

Mi sembra anche giusto scrivere che Valpreda seppe sopportare la bufera. La sua vita, da uomo libero e – a quanto ne so – incensurato, continuò fino alla morte per malattia, nel 2002.

Vedi anche:

Doppiezza – di Flavio Masi

Doppiezza

L’anima nera, del biondino qui rappresentato, dovrebbe essere evidente; la sovrapposizione che segue, in ogni caso, non lascia dubbi.

Gamberetti - digital painting di Flavio Masi

Gamberetti

Immagine doppia in toni di grigio: l’effetto complessivo è ottenuto giustapponendo elementi incongruenti – due gamberetti.

Scripta manent - illustrazione di Flavio Masi

Scripta manent

Illustrazione in toni di grigio: quando le parole, scritte o meno che siano, perdono ogni senso e rilevanza.

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